Un ambiente incantevole e una storia plurisecolare da scoprire
Agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso questa terra, ora celebrata e preziosa, era assai lontana dagli odierni fasti. Un’agricoltura ricca più di fatiche, che di soddisfazioni, non bastava ad offrire sufficienti occupazione e reddito.
Si produceva, seguendo una tradizione più che millenaria, un vino da tavola, rosso prevalentemente, apprezzato nel circondario e poco diffuso fuori dei confini provinciali. Un’idea geniale quanto temeraria, sviluppata dal nobile proprietario agricolo Guido Berlucchi e da un giovane enotecnico, rappresentò l’occasione per una svolta imprevedibile. Guardando all’esperienza carica d’anni e di mito della Champagne, terra adagiata nel Nord Est della Francia, i due innovatori – all’inizio perlopiù incompresi – immaginarono d’ottenere, all’ombra del Montorfano e del Monte Alto, un vino figlio del medesimo metodo. Si sarebbe chiamato Pinot di Franciacorta dapprima, quindi Champenoise e dal 1995 solo Franciacorta per una convinta decisione dei produttori. Una scelta che è ufficializzata dal disciplinare di produzione, varato appunto nel 1995, e caratterizzato dal riconoscimento della menzione tradizionale Docg (Denominazione d’origine controllata e garantita) massimo riconoscimento per un vino italiano, mentre la Doc (Denominazione d’origine controllata) fu conseguita nel 1967.
Gli anni dello Champenoise, nome che intendeva richiamare il metodo produttivo, sono lontani e ricordano il primo periodo della splendida epopea vitivinicola franciacortina. Anni in cui prende forma la coraggiosa scelta dei produttori della dinamica area adagiata tra Brescia e il lago d’Iseo d’intraprendere una sfida ricca di significato: abbinare inscindibilmente il nome dello straordinario vino al nome dell’affascinante territorio di produzione, per valorizzare idealmente e concretamente proprio l’inscindibile binomio tra il prodotto e la terra da cui nasce. Quel che poteva apparire una sorta di manifesto filosofico di difficile applicazione, seppe imporsi e divenire rapidamente realtà, grazie al convinto coinvolgimento di tutti i produttori dell’area. La loro brescianissima determinazione è stata riconosciuta e premiata anche dall’Unione Europea, che nel 2002 ha decretato per il Franciacorta la possibilità d’appellarsi semplicemente Franciacorta, senza l’utilizzo d’altri aggettivi o sostantivi. Senza più nemmeno essere accompagnato dalla menzione tradizionale Docg. Dice bene un noto giornalista del settore: “Lo Champagne sta alla Francia come la Franciacorta sta all’Italia”.
Per questo il Franciacorta vuole essere chiamato per nome
Nella consapevolezza che dire Franciacorta significa ricordare e apprezzare, insieme al fascino ed alla seduzione di uno straordinario vino, il sedimento culturale ed ambientale da cui trae energia ed eleganza. Come non pensare, ad esempio, all’opera dei produttori franciacortini, fra il resto meritoria per il loro ruolo di difensori tout court dell’ambiente. Cosa sarebbe oggi l’affascinante Franciacorta se i vigneti non avessero contrastato il passo spedito del mattone? Ritornando agli albori del Franciacorta, è il caso di ricordare che negli Anni Sessanta e Settanta si produceva in zona anche il Franciacorta Pinot con il metodo della rifermentazione in vasca, ovvero con il metodo Charmat.
La rinuncia a tale produzione contribuì in modo considerevole alla crescita del Metodo classico franciacortino. Franciacorta, emblema d’un successo senza confini e di un fenomeno giovane, evoca in realtà secoli di storia, di legami con Brescia e Santa Giulia, suo preziosissimo cuore urbano e culturale; Franzacurta si trova per la prima volta, nel 1277, negli statuti del Comune di Brescia. Legami intensi può vantare anche con Venezia: risale al 1429 la definizione dei confini geografici del territorio, inserita nelle pieghe di un atto del Doge di Venezia Francesco Foscari. La stessa area, in buona sostanza, i cui confini saranno richiamati nel 1967 dal Disciplinare di produzione vitivinicolo. Franzacurta si lega al più antico “Franche Curtes”, chiaro riferimento all’esenzione delle imposte sul commercio di cui godevano le aree della zona lavorate dai monaci, Cluniacensi dapprima e Benedettini poi.
Dalle poche decine di ettari destinati nel 1967 alla produzione della Doc Franciacorta, si è passati a circa duemilacinquecento ettari vitati, con ulteriore potenzialità d’incremento. Crescono gli occupati stabili nelle cantine, oltre un centinaio di strutture, e gli addetti dell’indotto, che sempre più disegnano un vero e proprio “wine district”, un distretto del vino dalle solide radici.
Scrigno d’autentici tesori da salvaguardare, la Franciacorta impostasi alla ribalta nazionale grazie all’omonimo vino, è un giacimento culturale da investigare con amorevole interesse e passione. È, inoltre, una realtà sensibilmente cresciuta in questi ultimi decenni, su più versanti. Oggi è in grado d’offrire ospitalità e accoglienza turistiche d’eccellente livello; di proporre un’interessante cucina, grazie all’appassionata abilità di un buon numero di giovani chef della zona.
Una cucina capace di tramandare le tradizioni del territorio ma pure d’aprirsi a sapori e tenenze esterne, in grado di regalare piatti sapidi ed eleganti da abbinare al Franciacorta, prodotto principe intorno al quale cresce una nuova consapevolezza del valore immateriale, ma tutt’altro che leggero, della qualità della vita, dell’ambiente, della natura, cui siamo tutti chiamati a guardare con maggiore attenzione.